21 marzo 2024 – La grande industria siderurgica fa il conto dei danni della amministrazione di Arcelor Mittal, mentre le procure indagano e i commissari cercano una via d’uscita dalle macerie. Ma il futuro resta pieno di incognite
Desolazione. Macerie. Silenzio. Qualche solitario e magro sbuffo di fumo bianco esce dalla ciminiera dell’altoforno quattro. Se fosse una persona, l’odierna ex Ilva, sarebbe paragonabile a una donna finita in rianimazione dopo essere stata violata, a più riprese, per un lunghissimo periodo di tempo. Da sette anni, per la precisione. Ora le mancano le energie e i mezzi per rimettersi in piedi. Qualcuno dirà che «l’Ilva se l’è cercata», perché inquina, e ha inquinato moltissimo, e quindi è giusto che perisca. Gli operai, invece, che ne hanno viste tante, non hanno dubbi: anche questa volta la gigantessa dell’acciaio si riprenderà. La convalescenza sarà lunga e dolorosa (si parla di 5 miliardi per tornare a produrre a pieno regime), ma loro – le tute blu – sanno aspettare. E chissà se sarà possibile ricostruire esattamente quello che è successo in questi anni di mala gestione da parte di ArcelorMittal e dell’amministratrice delegata, Lucia Morselli.
In questo momento, all’ex Ilva manca persino qualche organo essenziale, vitale: raccontano i dipendenti che una delle ragioni per cui gli altiforni non partivano mai tutti nello stesso momento (ma soltanto uno alla volta) è perché alcune parti, alcuni ingranaggi fondamentali venivano smontati da un altoforno a fine corsa, per poi essere rimontati su quello da accendere. Questo perché i pezzi di ricambio sono finiti, così come sono finiti i soldi per acquistarne di nuovi. Eppure, per strapagare i dirigenti, per assumerne di nuovi, per auto di lusso, per l’aereo aziendale che faceva la spola fra Milano e Bari, per la scorta e per benefit di ogni tipo, il denaro non è mancato fino all’ultimo.
Fonte: lespresso.it